Il plein air in un mondo in stato di crisi
La vacanza è un tempo sospeso, una bolla nella quale ci è concesso di dimenticarci di tutto quello che accade nel mondo? O piuttosto un momento di discontinuità e relax che però non ci distoglie dalle nostre responsabilità come appartenenti alla comunità umana?
Dopo una piccola pausa che mi sono preso principalmente per impegni di lavoro, sono di nuovo qui con voi in questa strana rubrica che non segue un filo logico se non quello dei miei pensieri [mio ultimo articolo "Il mondo del plein air visto dal campeggio di Briançon (Delfinato, Francia)" scritto post vacanza estiva]. Rileggendomi, mi sono accorto che tra gli argomenti trattati spesso mi trovo a farvi parte delle mie riflessioni generali sulla nostra comune passione in riferimento ai vari contesti: spero di non avervi annoiato in passato, perché anche oggi ritorno a imborsarvi con i miei sermoni laici (qualcuno potrebbe parlare di “Pippone Edition”!).
In effetti forse si parla troppo di mezzi e tecnica e poco di come ci si pone rispetto alle scelte che facciamo: ovviamente questo è funzionale al commercio, inteso in senso lato, ovvero si applicano alla nostra passione le normali logiche di consumismo. Io penso che invece sia importante di tanto in tanto staccarsi da questo modo di vedere e cercare di dare una interpretazione anche etica alle nostre scelte, che siano ordinarie come nei periodi lavorativi o straordinarie come nei momenti di tempo libero.
In questo momento il mondo sta vivendo una serie di crisi che, pur avendo genesi diverse, si stanno sviluppando e manifestando in contemporanea; mi riferisco per esempio ai cambiamenti climatici, alle guerre (non solo quella europea), alla ripresa dell’inflazione, alle problematiche sanitarie amplificate dalla globalizzazione, alla crisi dell’ideale di Europa pacificata così come l’abbiamo intesa fino ad oggi, all’interazione a volte perversa tra nuove tecnologie e mondo del lavoro.
Se è vero che ci rifugiamo nelle nostre passioni per trovare un po’ di tregua e gratificazione, è altrettanto vero che non possiamo pensare che tutto quanto accade intorno a noi lambisca i nostri piccoli mondi senza scalfirli: ritengo sia un obbligo morale per ciascuno il ragionare su come la modalità che scegliamo di vivere il tempo libero impattino o, al limite, siano compatibili con le problematiche in atto globalmente. Quelle che seguono sono – come sempre – mie considerazioni opinabilissime, che vi porto come esempi e stimoli per la vostra personale riflessione.
La prima domanda che mi pongo è se le “vacanze”, nel senso più ampio del termine, siano un bisogno indotto recentemente dal nostro modello di società, e quindi un lusso per pochi (noi occidentali) a cui potremmo tutto sommato rinunciare. Credo che non si sia di fronte ad un bisogno primario però secondo me il nostro stile di vita, così serrato e pressante, di fatto alza molto il bisogno di staccare, di uscire dagli schemi per un po’; da questa convinzione deriva anche la mia totale avversione per stili di vacanza che ripropongono gli stessi meccanismi di intruppamento a cui siamo sottoposti nel contesto di tutti i giorni.
Fortunatamente la filosofia del plein air si sposa molto bene alla necessità di creare una cesura tra la vita normale e quella straordinaria della vacanza; non mancano però parecchi esempi di riproposizione degli schemi usuali anche nel nostro contesto: ho in mente i campeggi con le piazzole stanziali fitte-fitte, gli assembramenti di camper tutti negli stessi luoghi, la mania di portarsi appresso tutto ciò a cui non sappiamo rinunciare per qualche giorno, l’attitudine ad imporre “i nostri diritti” a scapito del dialogo e del ragionamento …
Quindi la vacanza non è un lusso ma una reale necessità per molti, però non tutti riescono davvero a farla fruttare correttamente; il plein air aiuta in questo senso ma alla fine siamo noi a determinare il successo dell’operazione relax.
Ma passando al tema dei cambiamenti climatici, che impatto ha lo stile di vacanza che attuiamo e come ne è influenzato? Per il primo aspetto ci possiamo abbastanza consolare: il plein air ci insegna giocoforza a fare tesoro delle risorse, soprattutto quando viaggiamo in un veicolo ricreazionale dove impariamo subito a non sprecare l’acqua e l’energia in generale. Purtroppo, invece, in campeggio spesso vedo il contrario: l’acqua è gratis, l’elettricità già pagata a forfait, quindi chissenefrega. Vi dico onestamente: quando mi capita di vedere comportamenti di questo tipo vado su tutte le furie (mia moglie sa che inizio a brontolare come una pentola di fagioli in ebollizione!): purtroppo c’è ancora molto da fare sul piano culturale.
Ma il cambiamento climatico influenza anche il nostro stile di vacanza, per esempio nel proliferare di condizionatori d’aria installati in camper e caravan: so di essere antipatico, ma per me siamo nel campo della riproposizione dello stile di vita di tutti i giorni, con la differenza che quando si lavora l’aria condizionata spesso ha un senso, nella vacanza plein air no! (altrimenti diventa “plein air conditioning”). Cerchiamo dove possibile un po’ di ombra, magari, e ve lo dice uno che soffre il caldo in modo pazzesco.
Altro impatto riguarda invece il posizionamento di molti campeggi o aree di sosta: con i temporali tropicali che ormai colpiscono frequentemente anche zone di montagna, è importante scegliere luoghi che non siano – come spesso sono – lungo fiumiciattoli o torrenti perché il rischio di trovarsi improvvisamente al centro di un fatto di cronaca è molto alto. Anche qui, capisco che non sia semplice da accettare anche per i gestori, ma certi siti andrebbero messi in sicurezza anche in previsione di eventi straordinari che purtroppo sono sempre meno tali.
Il cambiamento climatico dovrebbe anche spingerci ad un migliore rispetto dell’ambiente: si parla di ecologia, di economia circolare e riuso, di ridurre gli sprechi. Tutto molto bello, ma cosa significa tutto questo applicato alla nostra passione? Intanto: siamo consapevoli dell’impatto che abbiamo sulla natura quando ci muoviamo? Per trainare una caravan abbiamo bisogno di una vettura capace di farlo, anche con un certo margine per non trovarci nei guai: quanto carburante brucia? I nostri camper, sempre molto ben dimensionati (anche i furgonati, ormai spesso XL) quanto consumano? Produrre i nostri mezzi, che impatto ha avuto sull’ecosistema? Ci rendiamo conto che “economia circolare e riuso” significa anche utilizzare quello che già abbiamo tra le mani in modo intelligente? In altre parole, secondo me ecologia fa molto rima con sapersi accontentare, dare un giusto peso alle nostre pretese soprattutto considerando che non siamo su bisogni primari.
Più ci spingiamo verso mezzi nuovi, grandi, imbottiti di gadget e meno siamo ecologici: è chiaramente una provocazione, ci sono eccezioni, ma io in linea di massima la vedo così. Tra l’altro scelte di vita più sobrie hanno molto senso anche riguardo alla ripresa dell’inflazione e alla perdita di potere di acquisto dei salari.
Chiaramente altri elementi di crisi, come le problematiche sanitarie o la crisi dell’Unione Europea hanno un impatto forte sul turismo, riducendo di fatto le scelte sulle destinazioni, ma tutto sommato credo che ne soffrano di più altri stili di vacanza: noi dovremmo essere naturalmente spinti verso la scoperta del territorio, verso il turismo slow e verso viaggi più a livello nazionale e continentale.
Un’ultima nota la riservo all’interazione tra nuove tecnologie e mondo del lavoro: se le vacanze servono a staccare dalla vita di tutti i giorni, ha senso – semplificando – rimanere sempre collegati con l’ufficio? Davvero non possiamo staccarci? Intendiamoci, ci sono casi nei quali è davvero così, il rimanere reperibili ci dà quella tranquillità che ci permette di godere appieno delle vacanze (in passato è capitato anche a me!), ma sono casi eccezionali, non può essere che alla sera in campeggio metà delle piazzole siano rischiarate dagli schermi dei PC di persone in astinenza da email. O che ad ogni piè sospinto si trovi un personaggio indispensabile al telefono con i colleghi rimasti in azienda. Se davvero è così dobbiamo farci delle domande molto serie sul modello di vita e lavoro che stiamo portando avanti.
Sono arrivato al termine del sermone, non so quanti abbiano resistito fin qui, complimenti per chi l’ha fatto: come ho detto sono spunti, anche volutamente provocatori, per una vostra riflessione personale; ricordiamoci che “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” (Dante A.)