Riflessioni nel parcheggio
Vi è mai capitato di andare al lavoro con il vostro mezzo ricreazionale e potervi rilassare, pensare e a riflettere in pausa pranzo? A me, sì.
Iniziamo
Come forse vi ricordate, vivo in una cittadina della bassa modenese, anzi per l’esattezza vivo in una vecchia casa di campagna non lontano dal paese; pure l’azienda per la quale lavoro, benché distante una ventina di minuti da casa mia, è in aperta campagna. Siamo relativamente in tanti a lavorare qui, soprattutto ognuno di noi è costretto a usare l’automobile perché il servizio pubblico è praticamente inesistente: questo significa che il parcheggio – ghiaiato – è molto grande ma non è circondato da capannoni e case come succede spesso nelle città.
Insomma, ci sono davvero tante macchine intorno a me e spiccano perché il resto è tutta campagna; però io, chiuso il portellone di Bubble, mi sento già a casa mia e di fatto non vedo neppure tutto ciò che mi circonda. Miracolo del mezzo ricreazionale, mi sembra di essere già un po’ in vacanza e quindi stacco completamente dalla routine d’ufficio: mi lavo le mani, scaldo il pranzo che ho portato da casa (non sono capace di cucinare), apparecchio il tavolino ed ecco che le negatività della mattinata si dissolvono.
Io amo moltissimo la mia caravan e pure il mio carrello però quelle tipologie di mezzi non possono competere con il van per questo tipo di uso: hanno altri vantaggi sul van ma in altri contesti. Basta questo per chiarire in modo inequivocabile quello che con Lorenzo abbiamo sempre sostenuto, ovvero che ogni mezzo offre vantaggi e svantaggi e non può esistere il “mezzo ideale”.
È un po’ per questo motivo che non mi è mai piaciuto essere definito un rulottista o un camperista o altro: non può essere il possesso di un oggetto che definisce una persona! È anche vero che, in generale, spesso le persone che fanno scelte simili hanno qualcosa in comune, ma nel caso della passione per la vita all’aria aperta a mio parere questo è un po’ meno vero: influiscono – e tanto! - considerazioni di nucleo familiare, di età, di capacità economica e di disponibilità di tempo. A mio parere se si vuole trovare un filo che leghi oggetti simili a persone che hanno qualcosa in comune, è meglio ricercarlo nelle dimensioni piuttosto che nella tipologia del mezzo utilizzato.
Less is more
Questa locuzione anglosassone si traduce più o meno come “meno hai, più hai” e bisogna ammettere che l’inglese negli slogan è molto più efficace! “Less is more” quindi è un po’ lo slogan di un minimalismo che sta diventando molto di moda ultimamente ma che ha radici lontane: ricordo parecchi anni fa, diciamo decisamente nel millennio precedente, di aver visto un van in vendita nel quale il proprietario aveva lasciato un cartello con una frase che suonava più o meno così: “il camper è piccolo dentro, la vacanza è grande fuori”. A me questa cosa piacque moltissimo, benché non mi ricordi le esatte parole, perché coincide con il mio modo di vedere un mezzo ricreazionale: aggiungerei anche “il camper è piccolo fuori, la strada è sempre grande” perché se io avessi avuto un mezzo più largo di Bubble non mi sarei avventurato per le stradine di campagna che mi portano quotidianamente al lavoro.
Ma non mi sarei neppure avventurato per strade impossibili se non avessi avuto un piccolo van, o una piccola caravan, o un piccolissimo carrello e quindi non mi sarei trovato su uno sperduto crinale appenninico in Romagna, su una strada bianca ad osservare un panorama bellissimo, oppure non avrei portato la mia caravan in una piazzola del camping di Fiesole, con una vista su Firenze da togliere il fiato, e ancora non mi sarei spinto con il camper nella pioggia per una strada quasi forestale per cercare una Pieve sperduta nelle Marche.
Sinceramente non ho mai sentito come limite il fatto di essere in un abitacolo piccolo: forse ho l’istinto del gatto che si infila nei cartoni, però la limitatezza interna l’ho sempre sentita come un fattore d’intimità e quindi molto piacevole. D’altronde un abitacolo di un grande mezzo rimane sempre un piccolo ambiente: nessuno di noi – fulltimer a parte – considera grande e confortevole un appartamento di 20 mq, che però su strada si traduce in un considerevole siluro da 8 metri di lunghezza per 2,5 di larghezza. Allora tanto vale, a mio parere, godere dei vantaggi dell’essere agili.
Mobilità alternativa
Oggigiorno si parla molto di “mobilità alternativa” riferendosi comunque al trasporto privato: senza voler fare i dietrologi a tutti i costi è abbastanza chiaro che, utilizzando la leva di una giustissima urgenza ecologica (non sto facendo dell’ironia, considero davvero la questione ecologica come LA questione centrale del nostro tempo), il sistema economico ci spinge comunque al consumo perché è strutturato così e non può contraddirsi. In questo modo però contraddice la leva sulla quale fa forza: avere l’auto più ecologica possibile significa cambiarla spesso e questo ha dei costi altissimi proprio in termini di incremento delle attività umane con conseguente impatto sul consumo di risorse e di energia. Addirittura su internet ultimamente ho sentito proporre come futuro l’idea di avere un’auto ibrida per gli spostamenti a lungo raggio e una full electric per gli spostamenti urbani.
È abbastanza palese che il paradigma sul quale tutta la questione si basa è che dobbiamo avere un’auto la cui unica funzione sia il portarci da A a B e che sia “consumabile” il più in fretta possibile mediante un’obsolescenza programmata, in modo da continuare a far girare la ruota da criceti che è diventata la nostra economia.
Intendiamoci, è sempre bello avere un mezzo nuovo e aggiornatissimo in termini di sicurezza, di comfort, di dotazione elettronica e informatica: nessuno di noi è immune da queste suggestioni! Però è anche vero che dal punto di vista ecologico lo scartare oggetti che potrebbero ancora avere lunga vita non è corretto; questo è tanto più vero se si pensa che i nostri veicoli obsoleti e inquinanti vanno ad alimentare i mercati del 2° mondo: se è vero che l’inquinamento è un problema globale, lo spostare un Euro 2 da casa mia a casa di un poveraccio a 3000 km da me cosa risolve?
Residenzialità alternativa?
Purtroppo, che piaccia o meno sentirselo dire, è il concetto di mobilità individuale che non sta in piedi e che andrà risolto in un futuro che non è dietro all’angolo. Nel frattempo potremmo perlomeno ridurre l’impatto di questo nostro modo di vivere, per esempio dando più contenuti al mezzo che utilizziamo giornalmente: se al posto dell’auto utilizzassimo un veicolo polifunzionale, almeno andremo a ridurre l’inquinamento da occupazione del territorio. Se infatti l’auto non è altro che un sedile su ruote che richiede infrastrutture abitative sia alla partenza che alla destinazione (e in caso di spostamenti lunghi anche lungo la strada), un veicolo polifunzionale offre molte più possibilità: è chiaro che stiamo parlando di un camper, ed è altrettanto chiaro che il camper in questione deve essere un mezzo di dimensioni contenute altrimenti non ci giri, soprattutto nella nostra piccola e storica Italia.
Tutti questi temi erano già sviluppati nel pensiero dell’architetto Galassetti, che tra gli anni ‘70 e ‘90 collaborò costantemente con la storica rivista 2C, poi evoluta in PleinAir: chi ha avuto la fortuna di abbeverarsi ai suoi articoli è stato proiettato in un mondo di ragionamenti modernissimi che hanno aperto la mente su tutto quello che riguarda le potenzialità di fondo insite nel mondo dei veicoli ricreazionali. Purtroppo di tutto quel fiorire di idee e ragionamenti a distanza di tempo resta ben poco sia nei mezzi della produzione attuale che nelle attività editoriali. Ragionando invece nei termini in cui pensava Galassetti, l’auto-utile poteva essere sia il veicolo polifunzionale “camper” che l’auto che traina l’abitacolo abitabile “caravan”, declinando quindi il concetto sui veicoli ricreazionali in generale, generatori della cultura della non-occupazione del territorio laddove invece il modello attuale costruisce vani destinati ad essere fruiti per poche settimane all’anno.
Ma dove sono finito?
Mi rendo conto che sto facendo della “filosofia” spiccia, d’altronde ero bambino in crescita nei turbolenti anni ‘70, dove non si faceva un-ragionamento-uno che avesse applicazione pratica; però è anche vero che adesso non si fa un-ragionamento-uno che si stacchi dalla pragmaticità conformista!
Penso che si sia un po’ perso il gusto di fare speculazione intellettuale su certi temi, consci che non si arriverà a conclusioni bipolari bianco/nero, però magari si definirà meglio il problema, se ne coglierà la complessità e quindi la vasta gamma di grigi che permettono di passare dal bianco al nero. Tutto questo si tradurrà in una maggiore capacità di discernimento per le nostre scelte quotidiane, visto che avremo sempre più elementi per definire la realtà e, conseguentemente, aumenteremo la consapevolezza che qualsiasi scelta presenta sempre delle aree di rischio e di indeterminatezza. Almeno saremo onesti con noi stessi rispetto al modo in cui viviamo.
Ma dove sono finito con i miei ragionamenti a briglia sciolta? La pausa pranzo sta per finire, lavo le due cose che ho messo in giro, ripongo il tavolino e torno in ufficio … com’era la canzone? “una vita in vacanza”? Ehhh, magari!