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Alberto, fulltimer:
"vivere viaggiando"

fulltimer vivere viaggiando alberto

Redazionale di Vacanzelandia

Viaggiare e macinare tanti chilometri, ti portano inevitabilmente a conoscere e scoprire persone che hanno qualcosa in comune con te e con il tuo stile di vita. Alberto e Marina, conosciuti in un tiepido pomeriggio autunnale in Maremma, si raccontano nelle prossime righe.

alberto fulltimer 1D. Alberto, quale era la tua vita precedente: cosa facevi e come vivevi?
R. Tutto iniziò dopo l’università nel 2005 quando nauseato dal sistema scolastico italiano, scappai letteralmente a Berlino e mi organizzai una vita di buona qualità. Stavo bene, ma già allora avevo un certo prurito itinerante che mi solleticava. Pensavo di poter fuggire da me stesso rifugiandomi in una città, ma in realtà dovevo anzitutto scendere a patti con me stesso, perché i miei fantasmi mi inseguivano ovunque. Così, dopo qualche viaggio, rientrai in Italia, provando a vivere a Trieste, ma la difficoltà di trovare un lavoro mi spinse a cambiare nuovamente sino a sbarcare al Lido di Venezia, dove ho vissuto per 3 anni. Sembra una contraddizione per un viaggiatore come me abituato sin da giovane a muoversi con l’Interrail in Europa, riuscire a risiedere in un’isola. Fatto sta che, tra un servizio civile in biblioteca e un’etichetta discografica aperta con un amico di Napoli, il tempo è volato. Nel contempo nella mia vita è arrivata Bahnhof, il mio boxer, il deterrente più importante contro i malintenzionati (ride n.d.r.)! Ad un certo punto, però, anche per chi come me soffre della Sindrome di Peter Pan, giunge il momento di decidere cosa fare da grande. Mi sono gettato a capofitto nell'arrampicata, di cui sono diventato istruttore e fino al 2012 ho cercato di sopravvivere con qualche lavoro saltuario. In ufficio, o in qualunque altro luogo chiuso, però, proprio non ci volevo stare e 8 ore al giorno costretto tra quattro mura erano davvero troppo per me! Sono sempre stato iperattivo e mi sentivo un animale in gabbia. Quindi mi misi a studiare programmazione e web design, con l’obiettivo di gestire il mio tempo e di lavorare da remoto. Nel 2014 aprii la partita IVA e da lì le cose sono andate molto velocemente: prima un furgone auto-camperizzato quasi invivibile (ma reso bellissimo dalla mia compagna Marina, conosciuta un anno prima), poi l’arrivo del mio California e il salto di qualità.
 
D. Se c’è stata qual è la molla che ti ha fatto scattare?
R. Non so se ci sia stata una molla, un evento particolare che mi ha dato il “La”. Le cose si sono sviluppate naturalmente e progressivamente, quasi assecondando un destino già scritto. Mi ricordo, però, un evento su tutti: stavamo viaggiando attraverso il sud della Francia (eravamo, credo, nei Midi-Pyrénées), Marina ed io e, improvvisamente, mi sono reso conto che stavo facendo esattamente ciò che desideravo da bambino; l’avevo scordato, ma essere lì con la donna che amo, il mio cane assassino, il nostro furgone sgangherato, era qualcosa che, a 10 anni, avevo più volte immaginato e che non avrei mai creduto si sarebbe realizzato. L’avevo persino rimosso dalla coscienza! Il fatto è che, per natura, io sarei un conservatore: sono attaccato alle radici, amo la mia lingua, non credo nel progresso esasperato e ho sempre un po’ criticato sia la cultura nomade parassitaria che quelle hippie-superficiale. Questi due paradigmi, probabilmente, sono stati da sempre due ostacoli che, inconsciamente, mi hanno impedito di prendere prima e più in fretta la decisione di vivere on the road.

D. E ora nella vita cosa fai?
R. Beh, ora lavoro da remoto e viaggio più che posso. La mia professione serve per guadagnarmi il pane. Nel tempo sono evoluto da un punto di vistaalberto fulltimer 2 lavorativo e ho compreso che anche la scrittura del codice non era una mia particolare attitudine. Così ho iniziato a spostarmi sempre più verso gli aspetti più antropologici e umanistici di questo ambito, occupandomi di SEO e di elaborazione di contenuti (copywriting e content marketing). Ho un gruppo di professionisti a cui mi appoggio per le parti più tecniche del mio lavoro e, allo stesso tempo, ricevo da loro molte richieste di collaborazione. Sono fortunato, perché oltre ad essere degli ottimi professionisti, sono anche dei buoni amici (anche se non ci vediamo molto spesso!). Non posso dire di essere del tutto soddisfatto di questa occupazione: amo i libri (anche feticisticamente, come oggetti in sé) e il mio sogno sarebbe quello di avere una libreria (itinerante?), ma per ora sarebbe un sacrificio che non sono disposto a fare. La mia giovinezza (beh, ho 36 anni, quindi non sono proprio un virgulto) non la voglio più sacrificare e, finché avrò forza e voglia, viaggerò.

D. Quali pregi e difetti, ostacoli hai trovato nella tua nuova vita?
R. Mi ricollego alla tua domanda precedente per rispondere a questa: viaggiare, per me, non è quello che si sente solitamente negli adagi che siamo costretti a sorbirci tutti i giorni dai vari travel blogger: «scoprire posti sempre nuovi». Le città, infatti, in un mondo globalizzato, sono quasi tutte uguali (o meglio: sempre meno diverse!). In tutte le metropoli trovi il centro commerciale che è diventato il luogo di ritrovo per eccellenza, il disco pub alla moda, il cocktail bar, negozi di abbigliamento a pochi soldi (ci sarebbe un discorso lunghissimo da fare in merito…la vita da fulltimers insegna anche ad apprezzare il non possesso, a riconoscere e ripudiare il superfluo), fast e junk food ovunque, oltre a tutte le enormi attività commerciali delle varie multinazionali che hanno colonizzato il mondo. Lo ammetto: a parte una breve escursione in Mali, ho sempre viaggiato in Europa (a cui sono ontologicamente e spiritualmente legato) quindi il mio parere è probabilmente parziale e biografico. Non nego che i piccoli borghi non siano caratteristici e particolari, in base alla nazione e alla cultura che li ha eretti, ma è l’aspetto geografico-ambientale, più che quello culturale-antropologico che mi attira maggiormente. La città orizzontale, infinita e sterminata, è - purtroppo - un po’ ovunque. Voglio comunque arrivare a dire questo: non viaggio perché ho sete di nuovo, ma perché sono inquieto. Porto con me la mia irrequietezza, ma, almeno, negli spazi aperti si sfoga moto meglio che tra quattro pareti bucate da una finestra ogni tot metri. Gli ostacoli che incontro, quindi, sono i medesimi della vita sedentaria: una certa personale idiosincrasia per chi manca di capacità di giudizio, per un mondo che corre demente all'impazzata senza sapere dove voglia andare a parare, e il fastidio epidermico per i posti affollati. Cerco infatti gli spazi aperti, amo la libera (sosta n.d.r.) anche per questo: mi concede una solitudine silenziosa che non trovo in contesti più organizzati e comodi. Se vogliamo parlare dei disagi più pratici che fronteggio in questo tipo di vita sono essenzialmente questi: anzitutto la pioggia che mi crea sempre grande inquietudine. Lo ammetto: esagero un po’ con l’ossessione per la pulizia in furgone, quindi tendo a detestare i momenti in cui sporcherò sicuramente tutto e dovrò asciugare, lavare, pulire il fango da terra, raccogliere peli di cane puzzolente, asciugare cuscini gonfi di acqua etc… Inoltre, quando si è costretti a stare fermi 3/4 giorni sotto un diluvio costante, non è sempre facile opporsi ad una certa claustrofobia a cui non sono abituato. Ne approfitto per lavorare di più, ascoltare musica e leggere. In secondo luogo il trovare un’area di sosta che mi soddisfi: a volte giro anche ore, nella notte, stanco e assonnato, pur di scovare il posto che ritengo più adatto. Non c’è applicazione che alberto fulltimer 3tenga (anche se Park4Night e Furgo Perfectos aiutano molto): devo essere io a sentire che starò bene lì e ci sono moltissimi fattori da considerare. Di solito mi pongo queste domande: il luogo è sicuro? Rispondo a ciò facilmente ormai, perché, dopo un po’, ci fai l’occhio (il decoro e la pulizia sono spesso segni di aree in cui potrai dormire tranquillamente). Si sente il traffico stradale? Passano treni? Ho un posto dove appartarmi per fare i miei bisogni senza dovermi sentire in imbarazzo o dar fastidio a qualcuno? (Sì, non ho il Porta Potti!! Uso un secchio e un sacchetto, come quelli per il mio cane. Non contemplo nemmeno lontanamente l’idea di viaggiare in un VW t4 con un wc chimico pieno!). Avrò connessione? C’è abbastanza verde attorno a me? Da che parte sorgerà il sole? Ci sarà qualcuno a cui la mia presenza darà fastidio? Ad ognuno di questi interrogativi ho dato la mia risposta (ove ci fosse possibilità interpretativa) e, ormai, ci metto poco a scegliere un luogo, ma, all’inizio, non era semplicissimo. Ci sono poi tutti i problemi manutentivi a cui si va incontro: per chi vive nel proprio mezzo il carrozziere, il meccanico, l’elettrauto sono punti fermi. Entro abbastanza in ansia ogni volta che devo lasciare la mia casa su ruote nelle mani di qualcuno: lì dentro c’è tutta la mia vita privata condensata in pochissime ma indispensabili cose. Insomma, vivere viaggiando su un furgone camperizzato non è tutto rose e fiori, ci sono moltissimi disagi a cui si deve far fronte (non ho nemmeno l’acqua calda, per questo tendo a migrare verso paesi climaticamente meno ostili in inverno). I pregi? Beh, credo che siano soggettivi e che ognuno, se ha scelto consapevolmente questa vita, saprà riconoscerli da sé. Certamente si impara a liberarsi da tutto ciò che non serve, si conosce veramente il concetto di risparmio (sia di risorse come l’acqua che di denaro - si può vivere tranquillamente con 500 euro al mese) e non si deve più sottostare a routine logoranti. D’altro canto l’uomo, pur avendo pochissimo da spartire con l’animale (direi quasi nulla, essendo quest’ultimo indubbiamente superiore al primo) tende a voler comunque trovare uno schema organizzativo, un abito da vestire, un’abitudine in cui trovare conforto. Si scopre allora che non ci si libera mai della routine, perché, come il pre-giudizio, fa parte della nostra essenza e non è possibile farne a meno. Ciò che però voglio sottolineare con più forza, in tema di pregi, è questo: viaggiando ho avuto modo di fare moltissimi incontri, anche brevi, fugaci, e ho conosciuto tanti esseri umani diversi. No, non ho fiducia in loro (in noi!) come specie, ma ho imparato ad apprezzare il singolo individuo, anche nei suoi difetti e nelle sue peculiarità. Non sono un animale da branco (per questo ho sempre voluto restare anonimo) e ho spesso criticato in primis me stesso e, secondariamente, gli altri: devo ammettere che tra la gente che vive sulla strada si cela una certa involontaria saggezza “antica” che ho trovato solo in un ambito più rurale e meno tecnologizzato. Forse è vero, la strada ti tempra.

D. Quali progetti hai in serbo per il futuro?
R. Progetti futuri… vorrei risponderti come il saggio che vive nell’hic et nunc (trad. qui e ora), ma non ne sono capace! Devo ammantare la mia vita di sogni, anche se, spesso, so che è la disillusione a farla da padrone. Mi getto quindi in costanti nuovi piani criminosi, quasi come un monomaniaco compulsivo: se sviluppo un’idea mi dedico anima e corpo a quella, cercando maniacalmente la cura del particolare. Sono un caso clinico, lo so, ma è così! Ora, a esempio, ho deciso di accettare che il web possa avere anche dei lati positivi (anche se non mi nascondo tutto il male che giornalmente fa all’essere umano, alla sua cultura, al sapere e alla socializzazione) e cerco di cavalcare la tigre.

Scrivo molto. Nei prossimi mesi, infine, se la sfortuna delle ultime settimane ci abbandona, lasceremo questo nord-est umidiccio e ci sposteremo in Spagna e Portogallo, dove spero di incontrare altri viaggiatori, altri nomadi.

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