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Un po’ di considerazioni sulla cosiddetta Camper-Life e sui Fulltimers

Camper life e fulltimers def

È tanto che medito sull'opportunità di intervenire su questo argomento, ma non l’ho mai fatto per il timore di scatenare polemiche che non giovano a nessuno. Dopo molto meditare e dopo molti mesi, però, mi sono deciso.

di Cesare Tomasini

Spero che i miei timori siano infondati e che leggerete queste righe con lo stesso stato d’animo con cui io stesso mi metto a scriverle, ovvero con nessuna intenzione di giudicare chicchessia ma con lo spirito di scambiare alcune idee liberamente. Se dovesse essercene bisogno, ribadisco che quello che segue è il mio pensiero e non costituisce in nessun modo il pensiero o la posizione di Vacanzelandi@, che mette esclusivamente a mia disposizione una piattaforma dove proporre argomenti di discussione e che non interferisce mai con i contenuti che pubblico.

Come tutto inizò

Non credo di sbagliarmi di molto se dico che il fenomeno “Van Life” o “Fulltimers” è molto recente, probabilmente una decina d’anni, e legato allo sviluppo esponenziale dei social. Quindi prima non esisteva chi vivesse in camper o caravan? Esistevano eccome, basti anche solo pensare alle etnie ancora nomadi, oppure ai movimenti Hippie, ai singoli senza fissa dimora ecc.
Questi che ho citato però sono sempre apparsi a noi “conformisti” (vi includo tutti d’ufficio, se leggete qui …) come delle persone fuori contesto, fuori dal vivere civile, forse in un certo senso hanno anche provocato la parte oscura di noi che è razzista, perché la bestia vive sempre in noi, il merito dell’umano è dominarla con l’intelligenza.
Poi ecco che un giorno arrivano i social e qualcuno coglie la palla al balzo per trasformare un suo sogno in realtà. Ma di questo parliamo tra un po’, adesso vorrei puntualizzare una cosa importante: la terminologia.

Camper-life, Vanlife, Fulltimer, Digital nomads …

Tanti termini ognuno dei quali però, a rigore di logica, significa qualcosa di diverso. Provo a dare una mia interpretazione partendo dalla lingua inglese.

Camper-life Cominciamo bene! A rigore vorrebbe dire “Vita da campeggiatore”, visto che il Camper in inglese è colui che pratica Camping, attività che si fa in un Camp; noi lo leggiamo all’italiana, quindi “Vivere in camper”. Bene, se prendiamo quest’ultimo significato, che poi è quello corrente in Italia, possiamo dire che chiunque utilizzi un motorizzato anche per una breve uscita di un fine settimana, pratica di fatto la “camper-life” perché vive all’interno di un mezzo. Non c’è – a mio parere – nessuna indicazione in termini di durata.

Vanlife Come sopra, solo che in questo caso la locuzione è perfettamente inglese e significa “vivere in un furgone”, che possiamo estendere in “furgonato”. Per me le stesse considerazioni di prima, nell’accezione del significato che abbiamo preso in considerazione.

Fulltimer  "Colui che è a tempo pieno”: chiaro che è una contrazione di qualcos’altro visto che la cosa, lasciata così a metà, provocherebbe un romanesco “… de ché?”. Qui si esprime l’idea di di vivere sempre … ovviamente in un mezzo VR, visto che per contrapposizione siamo tutti (HOME) Fulltimer.

Digital nomads “nomadi digitali”, ovvero persone per le quali il legame con la società non è dato dalla residenza fisica (non sono stanziali) ma da una cittadinanza di tipo digitale. Sono chiare in questo caso un paio di cose: la prima è che nel periodo antecedente la diffusione di internet e dei social questo tipo di nomadismo non era neppure immaginabile, la seconda è che il prefisso “digital” sembra voler marcare una distanza con i nomadi di tradizione e cultura (e forse in questo c’è un pizzico di involontario razzismo).

Perché sono partito dalla terminologia? Perché le parole hanno un peso, anche se ultimamente le persone non se ne rendono troppo conto. Quindi c’è una bella differenza tra il vivere permanentemente in un VR o l’avere la possibilità di fare viaggi, anche abbastanza lunghi, ma partendo e tornando ad una base e magari ad un lavoro. E c’è una bella differenza tra il vivere e lavorare viaggiando grazie al telelavoro e vivere alla giornata approfittando delle opportunità casuali che si presentano, oppure viaggiando grazie ad una pensione. E ancora tra il vivere a tempo pieno in un VR viaggiando oppure stanziando permanentemente in una zona.
Ecco quindi una prima grossa divisione tra i vari soggetti che sui social si propongono come vanlifer o fulltimer: la loro casa è il VR o il viverci per loro è una parentesi, magari anche abbastanza lunga? Perché a livello psicologico fa una grossa differenza! Per comodità e per capirci nel corso di questa chiacchierata parlerò di “fulltimer” nel primo caso e di “vanlifer” nel secondo, pur sapendo che lo facciamo in barba alla terminologia che abbiamo visto prima.

I fulltimer

Chi decide di tagliare tutti i ponti, vendere o lasciare casa, caricare su un camper o una caravan tutto quello che ha (o forse, meglio, quello che ci sta) e darsi alla vita nomade ha certamente del coraggio: non si tratta di un passo che si fa a cuor leggero, e difficilmente è un passo che si fa quando la situazione di vita è abbastanza complessa e con forti relazioni interpersonali. Per intenderci: ci sono famiglie con figli che per qualche anno fanno questa scelta integrale, ma il punto è che sono rarissime e lo fanno con un orizzonte temporale limitato dall’inizio; personalmente mi ricordo di una famiglia tedesca vista da qualche parte in internet, ma sicuramente non è la sola.
Molto più comuni sono le coppie, normalmente accompagnate da qualche animale da compagnia: basta guardare sui social e se ne vedono tante, ma la categoria più rappresentata credo siano i single, sempre con animale/i appresso. Questa cosa è perfettamente logica, per diversi motivi.
Il primo è sicuramente perché uno stile di vita così estremo difficilmente può andare a genio a tutti e comunque mette duramente alla prova qualsiasi rapporto, perché il vivere in costante contatto diretto in un ambiente così limitato (per quanto grande sia il mezzo) rende difficile la possibilità di ritagliarsi spazi e tempi personali, il che porta a situazioni di stress abbastanza ripetute: dunque le relazioni di coppia per forza di cose sono difficili da instaurare e mantenere. Il secondo motivo invece sta un po’ alla base della scelta del fulltimer: magari era da tanto tempo che si accarezzava l’idea, ma poi un evento scatenante dà l’ultima spinta per varcare il Rubicone, e questa spinta è facilmente la fine di un rapporto o di un progetto di vita condiviso.
Un discorso a parte lo merita la presenza costante degli animali da compagnia: so di essere impopolare a dirlo, ma penso che in genere queste bestiole vadano a colmare i vuoti affettivi, cosa particolarmente vera dato un tipo di vita di questo tipo, così slegata da affetti “prossimi”. Chiaro che magari a distanza ci sono i genitori, fratelli, figli o amici vari ma il contatto giornaliero è indispensabile perché – chi più, chi meno – siamo animali sociali.
Un altro aspetto che contraddistingue i fulltimer è quella che in certo senso definisco “vita di corsa”. Non intendo la vita che ognuno di noi trascorre trafelato rimbalzando da un luogo ed un impegno all’altro, intendo “di corsa” nel senso dei corsari. Attenzione, non sto dicendo che i fulltimer siano fuorilegge, non è questa l’accezione del “corsaro” che intendo e onestamente non conosco nessun fulltimer che non sia più che onesto; quello che intendo è che una vita di questo tipo, lontano dalle certezze della vita comune – che per quanto incerte siano sono abbastanza stabili – inevitabilmente sviluppa l’istinto ad approfittare di ogni opportunità, di ogni possibilità che si presenti. Ritengo che sia normale e giusto, è la necessità di sopravvivenza, però è un aspetto che sinceramente mi piace poco.
Ultimo fattore comune che ho notato, figlio della “vita da corsa”, è una certa mobilità nelle scelte: spesso noto che le decisioni prese anche solo poco tempo prima, vengono rimesse in discussione anche radicalmente. Anche questo è ovvio, se la vogliamo vedere con una parola di moda in accezione positiva potremmo definirla “resilienza”; il fulltimer se non è resiliente muore.

I vanlifer

Su questa categoria in realtà ho veramente poco da dire, perché si tratta di persone che praticano il plein air come tutti, magari con un lavoro, una pensione o una posizione sociale che gli permette di avere periodi di viaggio maggiori e magari differenziati rispetto ad altri. In questo caso sinceramente non mi sento di considerarli una categoria a parte e a dirla tutta mi fa sorridere questo tipo di etichetta: potendo la maggior parte di noi sarebbe vanlifer!
Qui non troviamo alcuna scelta radicale, quindi non troviamo la stessa necessità di cogliere le occasioni, le stesse problematiche di tipo affettivo: ci troviamo di fronte a camperisti o rulottisti, tanto fa.

Invidiosetten?

Comunque sia, la diffusione dei fulltimer e vanlifer sui social è un dato di fatto, comune in tutto il “primo mondo”: chi è alle prese con uno sviluppo economico da raggiungere o consolidare non è interessato a queste cose, e tanto meno lo è chi ha la ventura di essere nato nel terzo mondo e quindi ha ancora il problema dei bisogni primari da soddisfare.

A noi con la pancia piena quindi affascina questa modalità di vita così fuori dalle righe, così libera, anche se io non credo che la libertà si raggiunga in questo modo: i fulltimer hanno problemi come li abbiamo noi, sicuramente diversi, ma sui social emergono molto meglio proprio per la loro alterità e in molti suscitano una bonaria invidia. In questo periodo così strano di allontanamento sociale e reclusione casalinga poi, è ovvio che stare giorni e giorni chiusi in un appartamento di 60 mq e vedere un video di un tizio che sta all’aria aperta, magari in un bel posto, solitario come se fosse su National Geographic … beh, un po’ di invidia te la fa, no?
Un’ultima considerazione. I miei genitori hanno circa 80 anni, ho la fortuna di averli ancora entrambi, negli ultimi tempi tra ospedali, riabilitazioni, medicine e pillole varie non so proprio come avrebbero fatto se a suo tempo avessero scelto di fare i fulltimer, già solo per la pensione che sarebbe giusto solo un sussidio. Non voglio essere catastrofico, magari resto stecchito stanotte nel letto, ma un po’ al futuro bisognerà pensarci, o no?

Conclusioni

In realtà non c’è tanto da concludere: avevo il desiderio di mettere dei personali “puntini sulle i” e condividere i miei pensieri rispetto a questo movimento che vedo crescere e che non riesco da un lato a non esserne affascinato e dall’altro a non considerarne comunque i lati a mio parere discutibili.
Spero di esserci riuscito senza che nessuno si senta offeso o, peggio, giudicato e spero - come sempre - che chi ha avuto la pazienza di leggere possa avere qualche spunto alternativo per qualche meditazione ... plein air.

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